L’alba del sodalizio

     L’alba del sodalizio

a cura di Beniamino Lori

La odierna “Società Operaia di Mutuo Soccorso” di Suna nasce, a tutti gli effetti, il 3 giugno 1877 col nome di Società Operaia di Suna (1) e, successivamente, di Società di Mutuo Soccorso tra gli Operai di Suna” così come compare all’art. 1 dello Statuto o Regolamento Organico sebbene nel Decreto del Tribunale Civile e Penale di Pallanza del 5 agosto 1904 in cui si “ordina la trascrizione e affissione dello Statuto della Società… modificato in data 15 maggio 1904”,  incomprensibilmente si faccia riferimento al “ricorso diretto a ottenere il riconoscimento in ente giuridico della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Suna”  cioè chiamando il sodalizio con un nome diverso da quello di allora ma, di fatto,  uguale a quello odierno!

Di contro la data di nascita è “certa” e coincide proprio col giorno di “ ammissione “  degli 85 soci fondatori, espresso chiaramente nel “Registro di matricola” .

Non sorprende troppo che, pur a distanza di molti anni, si possa dare per certa la data di nascita di una nuova associazione perché è consuetudine consacrare con documenti tale avvenimento; molto spesso è la morte che si deve intendere solo “presunta” per il fatto stesso di non sentire più parlare di un gruppo, di un comitato o di una associazione!

La Società di Mutuo Soccorso fra gli Operai di Suna viene però ufficialmente riconosciuta solo un anno più tardi, il 1 settembre 1878 (così come appare sulla Carta intestata della Società di fine XIX secolo) giorno in cui fu inaugurata la “bandiera sociale” con “apposita festa” .

Da un documento del 5 aprile 1890 di deduce che le celebrazioni per gli anniversari di fondazione consideravano il 1878 l’anno di fondazione (cioè l’anno del riconoscimento ufficiale); in seguito, però, non fu così tanto che le celebrazioni dei canonici anniversari di fondazione hanno sempre fatto riferimento alla data di effettiva costituzione del sodalizio, cioè il 1877.

Pur non potendo più far riferimento al primitivo Statuto Associativo (purtroppo andato perduto), è comunque possibile risalire ai fini originali della Società con l’aiuto dello Statuto o Regolamento Organico approvato dall’Assemblea generale dei Soci in data 15 maggio 1904 che modificava il precedente pur, presumibilmente, senza stravolgerlo completamente.

All’art. 2 si enuncia la Natura e Scopo del sodalizio: “La Società ha per base l’unione e la fratellanza; per iscopo il mutuo soccorso materiale, intellettuale e morale; tende quindi primieramente a procurare ai Soci un sussidio in caso di malattia e di inabilità al lavoro per vecchiaia, cronicità o infortunio: ed indi a facilitare ad essi il conseguimento del lavoro e dell’istruzione e a promuoverne la moralità”

Non si fa menzione a finalità ricreative tuttavia non mancano le testimonianze scritte, anche risalenti ai primi anni di attività, che ripropongono occasioni ludiche o goliardiche; ne è un esempio la “Gran Veglia dell’Armonia”  proposta per il 7 dicembre 1930 in cui, si assicura, “… verrà sciolto l’interrogativo della parola Armonia… ma per ora acqua in bocca perché grandi sorprese verranno riservate agli intervenuti…”

Certamente l’associazione è stata, fin dall’inizio (e lo è tutt’ora) “apartitica” e “apolitica” come recita l’art. 78 “Non potrà formare oggetto di discussione e di deliberazione quanto riguarda cose politiche e amministrative”.

Doveva essere veramente una “condizione sine qua non” se all’art. 131 (tra le Disposizioni Generali) si ribadisce che il suddetto articolo “è invariabile” proprio come il seguente che recita: “… i soci possono assistere alle adunanze del Consiglio ma solo in quelle dell’Assemblea possono prendere parte alla discussione e votare”.

Agli art. 3-5  si legge la tipologia dei Soci diversificati tra “Effettivi” “Benemeriti”  e “Oblatori”  e tra questi sono “ammesse anche le donne, in qualità di oblatrici”  fatto, questo, che, da un lato, anticipa i tempi e, da un altro, smentisce clamorosamente chi ha voluto la S.O.M.S. del primo dopoguerra “rigidamente aperta ai soli maschi”.

All’art. 4 la definizione “chiara e semplice” di “Operaio”: “Tutti coloro che vivono del prodotto delle loro fatiche, esercitando un’industria, un commercio, un’arte o un mestiere”.

Fu primo Presidente tal Rossi Alberto fu Antonio di professione “Sostraio”  (una sorta di odierno albergatore o, più semplicemente ristoratore) che ricoprì la carica presumibilmente (2) fino al 1894 quando fu sostituito da Cuzzi Stefano fu Antonio(3) di professione “Misuratore” .

 Dal “Registro di matricola”  emergono i nominativi dei “Soci Fondatori” avendo “pagato il diritto di ammessione, in data 3 giugno 1877”  che, con criterio assicurativamente ineccepibile, variava in base all’età del socio da 3 lire (fino a 25 anni) a 5 lire (fino a 35 anni) a 7 lire (fino a 40 anni) a 10 lire (fino a 45 anni) per giungere al massimo di 15 lire per i soci fino a 50 anni (persone più anziane non potevano iscriversi alla Società al fine di evitare quei prevedibili dissesti finanziari che hanno invece investito futuri Istituti e Patronati di livello nazionale…) (4)  e “…oltre 50 cent pel libretto”

che oggi potremmo definire “spese di segreteria”.

Del tutto ingiustificati, alla luce di queste indicazioni, i motivi per cui due soci della prima ora (tal Cuzzi Francesco fu Giovanni e Spadacini Luigi di Giulio) abbiano pagato solo 2 lire (e oltretutto espulsi l’anno dopo per Scompiglio Sociale) e Spadacini Pietro fu Michele abbia  pagato ben 20 lire! Erano forse da intendere come “fuori età”?

Dei già citati 85 soci fondatori ben 32 (ben più di un terzo) risultano poi espulsi dalla Società per “mancato pagamento del contributo mensile di cent. 80 ”  da versarsi (come recita l’art. 90) “non più tardi della prima domenica del mese successivo a quello scaduto nelle mani dell’esattore”.

A tale proposito occorre ricordare che l’art. 17 al punto “e” sentenzia l’espulsione del socio “che da sei mesi consecutivi abbia cessato di fare il pagamento dei contributi mensili” ed ancora che gli

art. 90 e seguenti dettano le perdite di diritti per i soci “morosi” in relazione ai tempi di ritardo:

“ … oltre tre mesi di ritardo, diritto, in caso di malattia, alla sola metà del sussidio e verrà trattenuto quanto dovuto alla Società”  ed ancora “… oltre quattro mesi, perdita del diritto ad alcun sussidio pecuniario”.

Esclusa dunque una mera dimenticanza, è verosimile supporre che i 32 soci fondatori morosi  abbiamo ben presto creduto che, per motivi diversi e non individuabili, questa nuova forma associazionistica non soddisfacesse le loro singolari esigenze.

Ma gli altri soci la pensarono ben diversamente visto che continuarono regolarmente i  pagamenti fino alla loro morte che, per i più, giunse prima dell’alba del nuovo secolo, ma che per qualcuno si fece attendere tanto da dargli la soddisfazione di superare i 60 anni di iscrizione ( i casi di  Rattazzi Luigi fu Pietro nato nel 1861 e deceduto nel 1939, Contini Angelo fu Davide nato nel 1850 e deceduto nel 1939) o, addirittura, raggiungere i 70 anni di iscrizione (come nel caso veramente limite di Rattazzi Battista fu Domenico nato il giorno di Natale 1855 e deceduto nel 1946) (5)

Per contro il socio fondatore Barbaglia Pietro fu Giuseppe detiene il triste primato di non aver potuto neppure festeggiare il riconoscimento ufficiale della Società essendo deceduto (oltretutto in giovane età) nello stesso anno di fondazione.

A questo punto vale la pena di conoscere (con l’aiuto dei coefficienti di svalutazione forniti dall’ISTAT) a quale cifra corrisponde il contributo mensile di allora nonché il sussidio per ogni girono di malattia  : “una lira” della seconda metà dell’800 corrisponde a  £. 6192  (cioè a €. 3,19) Dunque ogni socio pagava (oltre il contributo di ammissione da  18000 a 93000 lire, secondo l’età)

circa 5000 £. al mese,  per un importo annuo di  £. 60.000  (circa €. 30 di oggi).

Di riscontro percepiva “una lira per ogni giorno di malattia” dunque £. 6192

Certo non valeva la pena di “dichiararsi ammalati” per “vivere da nababbi” con quel sussidio giornaliero (tanto più limitato a 90 giorni e “a decorrere dal terzo giorno di malattia”) tuttavia, tenuto conto delle diverse esigenze di quegli anni, poteva considerarsi un “sussidio di sopravvivenza” in attesa della ripresa del lavoro.

Di sicuro le quote non furono variate fino all’inizio della “Grande guerra” dunque per almeno cinquant’anni, segno evidente che i bilanci societari erano positivi ed equilibrati. Ma all’inizio degli anni ’20 la svalutazione fu galoppante (basti pensare una lira di allora valeva appena un quarto di quella del 1878!) e la Società si vide costretta a raddoppiare i contributi.

Comunque percepire il “sussidio di malattia” non doveva essere un fatto scontato e necessariamente conseguente alla richiesta da parte del socio “caduto ammalato”, almeno desumendolo dai numerosi articoli statuari che fanno ad esso riferimento.

Già all’art. 17 punto “d” è contemplata l’espulsione dalla Società del socio “che simuli o maliziosamente prolunghi una malattia od usi qualsiasi altro inganno per ottenere sussidi od indennità”    ed ancora, al punto “c” che all’epoca dell’ammissione avesse celato qualche malattia cronica o abituale o avesse dichiarata età diversa da quella che aveva…”.

La malattia , poi, “…deve intendersi cominciata dal giorno datone avviso (al Presidente)” (art. 95) e comunque “… sei mesi dopo la sua ammissione alla Società” (art. 94).

E, naturalmente, il diritto al sussidio cessava se durante la malattia il socio “… avesse a frequentare le osterie senza permesso del Medico curante… o prendesse parte ad alcun gioco…” (art. 107)

Decisamente “moraliste” le norme categoriche che escludevano dal sussidio i socio affetti “… da malattie veneree e quelle provenienti dallo abuso di vino, di liquori o di risse”.

La Società, dal canto suo, si tutelava inviando due Visitatori “almeno due volte alla settimana” presso i soci ammalati per “informarsi dello stato di essi e riferirne alla Direzione stessa”(art. 109)

Nei Documenti oggi in possesso della SOMS Sunese non compare l’indicazione del luogo ove facesse capo la Società Operaia (sebbene nello Statuto ben 30 articoli siano dedicati alle “adunanze” ) e neppure nel Decreto citato in apertura se ne fa cenno; di certo, negli anni ’50 la sede era presso “La Pia Istituzione Rossi” (come da Atto Notarile del 31.12.58) e in seguito presso la Società Casa del Popolo di Suna ed ora, pur nella stessa, ma con sede autonoma nella “cascina” ristrutturata dal Gruppo Alpini, con accesso in via Frua.

Il primo segretario del sodalizio è stato Agnisetta Annibale fu Severino di professione Contabile, nominato a tale incarico alla giovane età di diciassette anni  e che lo svolse “egregiamente” per nove anni (dunque tre mandati dato che l’incarico era, per Statuto, triennale e rinnovabile).

Per un certo periodo ricoprì congiuntamente questo incarico con quello di Amministratore del Comune di Suna, ove fu eletto (con 34 voti) il 22 luglio 1883 rimanendovi fino al 29 giugno 1888.

Da sempre la carica di segretario risulta essere molto onerosa; all’art. 46 si legge: “Il segretario redige i verbali delle sedute e ogni altro atto necessario all’amministrazione della Società… dispone i bilanci… tiene registro dettagliato di tutte le spese… prepara i mandati, dispone per ordine tutte le fedi mediche e giustificazioni dei sussidi accordati… è pure incaricato della custodia delle carte, dei registri e documenti… forma l’elenco dei soci… ha voto nelle assemblee ma solo consultivo in quelle del Consiglio…”

Non è dato a sapere con certezza se tale incarico fosse retribuito tuttavia l’art. 58  dà la possibilità al Consiglio di “fissare lo stipendio e la gratificazione a retribuirsi al Medico e agli impiegati della Società”. C’è da sperare che il segretario fosse considerato “un impiegato della Società”!

Sempre relativamente ai “primi 85” la professione più ricorrente era lo Scalpellino (24) seguita dal Barcaiolo (15), dal Muratore (10), dal Fabbro (6) e Sostraio (6). Tra le professioni o mestieri più singolari l’Orefice, il Maniscalco, il Filatore, l’Armaiolo, il Cappelliere, il Tipografo..

 Non mancavano infine l’Oste, il Parrucchiere, il Sarto,  il Falegname (3), il Calzolaio (3), il Contadino (2), il Conducente, il Capomastro e il già citato Contabile.

   Curiosa è una nota, tra le variazioni,  relativa a Rossi Giuseppe, morto il 15 maggio 1890 all’Ospedale Castelli di Pallanza: certamente non accadeva spesso che un socio morisse all’ospedale e dunque ciò era degno di nota ma ancora oggi, tra i nostri “vecchi”, non è consuetudine andare all’Ospedale e tanto più morirci!

Un accenno ai cognomi: Rattazzi (9) Rossi (9) Spadacini (9) i più diffusi, seguono poi Tonazzi (7), Buscaglia (3), Zucchinetti (3), Tridondani (2) Cuzzi (2) e Pera (2) Del Monaco (2).

Uno sguardo anche all’età dei primi soci (deducibile dai diritti d’ammissione pagati): ben 69 avevano un’età compresa tra i 26 e 35 anni, 11 inferiore ai 25 anni e i rimanenti tra i 41 e 45 anni.

Una Società Operaia voluta al 90%  dai “giovani”!

 

 

  • In un invito del 28 luglio 1878, rivolto alla Sig.ra Ganna Elisabeta e custodito agli Atti della Società, su carta intestata, è riportato il “logo” “Società Operaia di Suna” sebbene il timbro apposto vicino all’indirizzo riporti la scritta “SOCIETA’ DEGLI OPERAI – SUNA”: la discordanza , più che evidente, è da attribuirsi, probabilmente, alle incertezze di una associazione ancora in fase di definizione.   
  • Certamente Rossi Alberto era ancora presidente del sodalizio nel 1890 in occasione del 12 anniversario di fondazione celebrato solennemente il 24 agosto 1890, come si legge nell’invito rivolto alla Onorevole Amministrazione di quel periodo, giunto a noi, purtroppo mancante del programma dettagliato dei festeggiamenti.
  • Non ci è dato sapere con esattezza il grado di parentela di Stefano Cuzzi con il più famoso Alessandro Cuzzi, docente di clinica ostetrica all’università di Pavia ed ivi morto il 4 gennaio 1895 relatore di testi importanti sulla ostetricia e la ginecologia e considerato il vero fondatore di questa disciplina medica.
  • Interessante notare che l’adesione alla Società era consentita ai giovani che avessero compiuto 15 anni, un’età oggi considerata adolescenziale ma, in quel tempo, già lavorativa a tutti gli effetti.
  • Per fare un salto ai giorni nostri, il socio “decano” della odierna SOMS Sunese, Fattalini Gino, falegname, nato il 14 marzo 1909 e tutt’ora in vita, ammesso alla Società nel 1930, ha abbondantemente superato i 72 anni di iscrizione, segnando un traguardo che probabilmente non è stato mai uguagliato in precedenza né lo sarà in futuro. Di poco inferiore la militanza del socio Delle Donne Pietro, iscritto il 20 febbraio 1929 e scomparso nel 1998 , che ha sfiorato i 70 anni di presenza ininterrotta.